Racconto ‘Sbadiglio’ Parte 4
Ottobre 9, 2017 8:00 pm
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Un racconto distopico. Un’epidemia, un amore e una giovane ragazza.
É tutto un sogno?
O è la realtà?
E soprattutto… come si fa a distinguere la realtà dal sogno?
Ascolta la soundtrack mentre leggi il racconto.
Clara e Melissa erano migliori amiche da sempre, un’unica differenza le separava: la forza di volontà.
Melissa credeva sempre alle parole dei suoi torturatori e ne piangeva in continuazione. Clara aveva sempre saputo, dal primo annuncio dell’epidemia, che l’avrebbe persa quasi subito.
Era da una settimana che la chiamava sul cellulare, e la voce della segreteria telefonica la tormentava. Le aveva già detto addio.
La vocina dentro la testa di Clara continuava a ripeterle di non piangere, non doveva cedere al sonno.
Ma lei non poteva evitare il pensiero che tutti i ragazzi che incontrava, non erano altro che orfani, e che cercavano di sostenere la vita come se niente li avesse scalfiti. E in quella massa di spensierati ci doveva essere anche Leo.
Secondo le sue teorie, Leo doveva essere ancora vivo essendo uno dei ragazzi più popolari della scuola, uno dei più circondati e richiesti dalle ragazze. Eppure non lo vedeva ancora.
Proseguì nell’esplorazione dell’edificio, salutando frettolosamente qualche compagno di classe con noncuranza.
E se l’avesse trovato, cosa gli avrebbe detto? Come poteva dichiarare il suo amore, liberare il suo cuore senza soffrire troppo? Sapeva che non aveva molte speranze.
Ma era innamorato di lui dalla prima lezione nel laboratorio di inglese. Ricordava ancora i dettagli di quella giornata che senza di lui sarebbe rimasta uguale alle altre. Invece lui si era seduto affianco a lei, e tra qualche piccola chiacchiera e scherzi, diventarono semplicemente amici.
Ma poteva considerarlo amico anche se non si erano mai frequentati fuori dalla scuola? O solo non ne era mai capitata l’occasione…
Clara controllò nel laboratorio di inglese e scoprì che al vederla vuota, aveva poche speranze di trovarlo.
Appoggiò pesantemente il piede sul primo gradino della scala e sempre più scoraggiata proseguì la sua ricerca. Mentre raggiungeva il terrazzo, le voci dei ragazzi iniziarono ad affievolirsi, e si sentì così lontana. Doveva essere anche lei così spensierata invece di deprimersi.
Quando intravide la terrazza, si accorse che incredibilmente non c’era nessuno, nonostante fosse il più romantico ritrovo per pomiciare.
Il sole stava seguendo il suo ordine, e come ogni giorno salì sempre più in alto nel cielo, illuminò la città vuota e riscaldò il volto di Clara infreddolito da un leggero venticello.
La gola non le bruciava più e percepì, come se fosse innaturale e improvviso, il ritorno di un profondo respiro. Sospirò, ma non per sollevazione, quella era già scomparsa.
Si coprì la vista con la mano e si incamminò verso la ringhiera. La città, come in mattinata, era completamente deserta e silenziosa. Per Clara era strano non sentire più il rombare di qualche auto, il passare di un aereo, un ambulante che offriva frutta dal suo camioncino, o il fastidioso e tenero pianto di un bambino. Non ne era abituata, era così strano da sembrare un sogno. Un incubo, si corresse.
Clara avrebbe voluto piangere e riempire quell’irritante aria calma. I pensieri si affollarono nella sua testa con prepotenza, si spingevano l’un con l’altro contro le pareti del cranio, e speravano di fuoriuscire dalle labbra. Clara aveva il costante bisogno di urlare, non poteva trattenersi un minuto di più. Doveva sfogarsi, bestemmiare contro le divinità, contro il mondo, contro l’epidemia, e criticare la realtà che crollava preferendo un sogno. Le sue fauci inghiottirono solo aria e sentì una voce rimbombarle nella mente. Si presentava come un’eco, proveniva da lontano, ma conosceva il presente, conosceva lei, l’avrebbe istigata a urlare. Stava per riuscirci, ma un impulso di autocontrollo la bloccò, la frenò e la fece ritornare per un attimo in sé.
Non poteva coprire quella falsa tranquillità con le sue urla strazianti, avrebbe potuto causare qualche sbadiglio con il suo dolore.
E come se non ci fosse stata nessuna epidemia da debellare, la sua ragione la costrinse a pensare come una volta: a tacere davanti alle ingiustizie, a esprimere solo frivolezze, secondo i canoni della moralità sociale.
Si abbandonò a quei pensieri e iniziò a urlare.
Categorised in: Racconti raccolti
This post was written by Federica Auriemma